Ingegnere Bertuccio, Euromobility rappresenta i mobility manager che nel nostro paese solo recentemente hanno raggiunto il risalto che meritano. Chi sono i mobility manager oggi in Italia? Lei li conosce bene, può tracciare un identikit di questa figura?
“I mobility manager in Italia sono soggetti che negli ultimi tempi hanno cambiato un po’ il loro ruolo: molti anni fa erano soltanto dei colleghi all’interno dell’azienda o della pubblica amministrazione che si occupavano dello spostamento delle persone; erano individuati all’interno dell’ufficio della logistica o dell’ufficio del personale. Oggi invece tante aziende tendono a esternalizzare anche questa figura, come il responsabile della sicurezza per esempio. Quindi abbiamo alcuni mobility manager che sono dipendenti delle imprese o delle pubbliche amministrazioni obbligate ad avere un mobility manager e poi a redigere un piano spostamento casa-lavoro, ma ci sono anche tanti mobility manager che sono consulenti esterni”.
Perché oggi i mobility manager sono molto più importanti rispetto al passato e in che modo le modifiche alla normativa hanno influenzato questo processo?
“I mobility manager oggi sono decisamente più importanti rispetto al passato anche perché ci sono state delle modifiche normative che hanno influenzato la portata di questa figura professionale. Nel 1998 il decreto Ronchi aveva introdotto questa figura professionale. Con il decreto rilancio del maggio 2020, in piena pandemia, che poi è stato convertito in legge 77 del 17 luglio dello stesso anno, questa figura professionale ha preso quota. C’è stato poi il decreto attuativo del maggio del 2021 e le successive linee guida su come si redigono i piani spostamento casa-lavoro, ma la centralità della figura è dovuta al fatto che questa norma è talmente cogente che una impresa o una pubblica amministrazione che deve essere certificata non può non nominare un mobility manager e non redigere un piano spostamento casalavoro perché il certificatore ISO o il certificatore Emas chiede che ci sia un piano spostamenti casalavoro (PSCL) redatto, adottato e inviato entro 15 giorni al comune territorialmente competente. La norma è cogente ma non esiste una sanzione diretta per chi non la applica; la sanzione indiretta è la mancata certificazione. Quindi le imprese per avere certificazione ISO devono necessariamente avere un mobility manager che faccia il suo lavoro e una pubblica amministrazione che non ha una certificazione ISO ma che ha una certificazione Emas deve fare lo stesso, cioè, avere un mobility manager che rediga il piano e attui poi le azioni incluse nel piano”.
Quali sono le competenze dei mobility manager italiani? Quali gli obiettivi che si possono porre e quali strumenti hanno a disposizione per raggiungerli?
“Le competenze di un mobility manager sono sulla mobilità in senso generale: bisogna anzitutto sapere quali sono i piani di una pubblica amministrazione sulla mobilità con cui si deve interfacciare e con cui il proprio piano di spostamento casa-lavoro deve essere coerente. Parliamo in particolare del Piano Urbano di Mobilità Sostenibile (PUMS) che è un piano spostamento casa-lavoro a livello di città. Tutte le città, o almeno quelle più grandi, dovrebbero avere un piano urbano di mobilità sostenibile. Il mobility manager, sia esso di un’impresa o di una pubblica amministrazione, non può non conoscere le politiche della pubblica amministrazione del territorio all’interno del quale si muove e all’interno del quale la propria impresa o pubblica amministrazione è localizzata. Deve conoscere l’offerta e la domanda di trasporto, cioè quali sono tutte le modalità con le quali si può raggiungere il proprio luogo di lavoro, tutti i sistemi di offerta, dal trasporto pubblico locale ai sistemi di sharing che ormai si stanno diffondendo molto nelle nostre città alla rete ciclabile e a tutti quelli che sono i possibili strumenti da parte dei dipendenti con i quali possono raggiungere i luoghi di lavoro. Deve anche avere una buona conoscenza della domanda di trasporto con competenze su come analizzarla, studiarla e orientarla. Ciò significa soprattutto avere delle competenze da un punto di vista della comunicazione: il marketing e la comunicazione sono le principali competenze, i principali strumenti con i quali i mobility manager lavorano perché di fatto l’obiettivo è quello di cambiare l’atteggiamento culturale diffuso che fa preferire l’automobile rispetto alle altre modalità di trasporto. Occorre quindi scardinare alcuni retaggi e questo non può che farsi attraverso gli strumenti tipici della comunicazione e del marketing della mobilità sostenibile”.

Quali sono le prospettive per la figura del mobility manager? In che modo crede che il suo lavoro possa cambiare nei prossimi anni e con quali nuovi obiettivi?
“Le prospettive per la figura del mobility manager sono veramente rosee, nel senso che nei prossimi anni sarà sempre più una figura imprescindibile sia per i nuovi interventi normativi sia per l’impegno che ormai sempre più aziende hanno verso la sostenibilità, al risparmio energetico, alla riduzione degli impatti e alla qualità dell’aria. Per raggiungere questi obiettivi il mobility manager è una figura centrale sicuramente. Il suo lavoro deve stare al passo coi tempi. Quando i mobility manager hanno cominciato a lavorare in Italia, ormai oltre 20 anni fa, gli smartphone non esistevano, e non c’era neanche la possibilità di pagare la sosta con il cellulare o di entrare sull’autobus e pagare con il cellulare; una palina informativa in tasca, mentre oggi, ancor prima di uscire da casa, si sa già quando passerà il prossimo autobus. Oggi ci sono delle app di gamification che fanno sì che dipendenti possano avere degli incentivi per i comportamenti sostenibili. L’obiettivo è soprattutto quello di un riequilibrio modale nelle nostre città e quello è il mantra per un mobility manager. Già tantissimi anni fa in una delle principali conferenze europee sui piani urbani di mobilità sostenibile emerse che non esiste una città non congestionata che non sia una città ciclabile e dove la mobilità attiva (gli spostamenti a piedi, i monopattini, ecc.) abbia uno spazio importante. L’obiettivo, come si diceva, è quello del riequilibrio modale, cioè spostare quota parte della domanda dall’uso dell’automobile alle altre modalità di trasporto collettivo. È importante chiarire che il mobility management nulla ha a che fare con un veicolo a basso impatto: un’auto elettrica è un’auto comunque che circola sulle nostre strade, che occupa spazio, che produce e contribuisce a fenomeni di congestione. Il mobility manager non deve pensare alla sostituzione del parco circolante ma deve pensare a un uso responsabile, consapevole, sostenibile dell’automobile che è solo un pezzo della nostra mobilità”.